Antonio Ratti, L’arte Tessile Di Un Sognatore

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Di sé diceva di essere il primo violino di una grande orchestra. Una guida per gli altri e insieme agli altri. Questo l’autoritratto di Antonio Ratti, protagonista di una straordinaria avventura industriale nel settore tessile, ma soprattutto autore di quella meravigliosa tessitura di destini che è la Fondazione Antonio Ratti, riferimento mondiale nella storia del tessuto.

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Per ricordare l’imprenditore e il mecenate coltissimo, a vent’anni dalla scomparsa, la città di Como, dove Ratti nasce il 22 settembre 1915, ospita la splendida mostra Il sogno di Antonio: un viaggio tra arte e tessuto, curata da Annie Ratti, Maddalena Terragni e Lorenzo Benedetti, e aperta fino al 31 gennaio a Villa Olmo, Villa Grumello e Villa Sucota, sede della Fondazione, lungo lo spettacolare Chilometro della Conoscenza, che collega i parchi dei tre centri espositivi.

Per ricordare l’imprenditore e il mecenate coltissimo, a vent’anni dalla scomparsa, la città di Como ospita la splendida mostra Il sogno di Antonio: un viaggio tra arte e tessuto

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Antonio Ratti entra nel mondo dei tessuti studiando alla scuola di setificio, quindi diventa capo disegnatore per un’azienda importante del Comasco - in mostra sono esposti i suoi disegni cachemire per cravatte - e nel 1945 crea la Tessitura Serica Antonio Ratti, prima tappa imprenditoriale che porterà alla creazione del Gruppo Ratti, oggi uno dei più importanti produttori al mondo di tessuti di altissimo livello tecnologico e creativo. A tessere ogni momento della storia personale e professionale è l’amore per i musei, per quell’affinamento dello sguardo e della sensibilità che nasce dal contatto con la cultura. Diceva Antonio Ratti: “La conoscenza del passato genera nuove idee e crea nuove forme di bellezza”. E dice oggi Annie Ratti, figlia del fondatore e curatrice della Fondazione: “L’idea non compare dal nulla, è sempre legata a un elemento, che sia un ricordo, una parola pronunciata da qualcuno, una fotografia in un museo, anche semplicemente una sensazione provata in un preciso istante. L’ispirazione è ovunque e va alimentata continuamente”.

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Perché un sogno? Perché Ratti era un visionario. E perché arte e tessuto? Perché quest’uomo di immenso talento aveva saputo riconoscere la bellezza culturale dell’arte tessile e l’aveva messa a dialogo con altre forme artistiche. Grazie alla scenografia di Philippe Rahm, realizzata insieme all’architetto Corrado Tagliabue,il nucleo centrale della mostra a Villa Olmo unisce infatti tessuti antichi provenienti dalle collezioni di Ratti e opere di artisti contemporanei, che hanno collaborato negli anni con la stessa Fondazione, e sono opere di Luigi Ontani, Giulio Paolini, John Armleder, Walid Raad, Yvonne Rainer, Julia Brown, Moira Ricci e Oriol Vilanova.

Per mantenere questo flusso continuo di idee, nel 1958 Ratti crea la Palazzina dei Servizi Sociali all’interno della sua azienda, dove organizzava concerti, spettacoli teatrali, corsi e dibattiti per i dipendenti. Nel 1985 è la volta della Fondazione, la FAR, scrigno di una raccolta di oltre 40.000 tessuti, di cui quasi 30.000 oggi digitalizzati (da consultare sul sito www.fondazioneratti.org, alla voce Textile Collection). Il nucleo storico vanta 3.300 frammenti dal III al XX secolo, e sono tessuti copti e indigeno americani, velluti italiani del Rinascimento, scialli a disegno cachemire indiani ed europei, sete francesi, abiti Kuba, ikat del Centro Asia e kimoni giapponesi. Nel 1995, altro evento straordinario, Ratti finanzia il primo centro di ricerca e restauro del tessile all’interno delle collezioni del Metropolitan Museum di New York, l’Antonio Ratti Textile Center. Contemporaneamente si moltiplicano le collaborazioni con gli artisti, grazie anche alla creazione del corso CSAV - Artists’ Research Laboratory, che sostiene la sperimentazione di giovani artisti da tutto il mondo a dialogo con maestri di fama come Marina Abramović, Allan Kaprow, Ilya Kabakov, Giulio Paolini, Tacita Dean, e Jimmie Durham (per iscrizioni al corso 2022, consultare il sito della fondazione). E proprio contemplando una delle opere più famose di Durham, l’Apecar ribaltata da un masso, simbolo del dialogo tra natura e tecnologia, si arriva nel giardino di Villa Sucota. Tra gli alberi secolari splende la bellezza del Lago di Como. E il sogno di Antonio era forse anche quello di tessere un omaggio a una terra di acque azzurre, giardini, fiori e montagne che tanto lo aveva ispirato.