Nel Grande Blu di Rosina Ferrario
Allora si usava dirlo in francese, “le grand bleu”, il grande blu, quel continente che non aveva uguali sulla terra perché saliva fino alle stelle. All’inizio del Novecento nell’azzurro del cielo compare un aereo e il volo diventa un sogno possibile, maschile naturalmente, come vuole la leggenda di Icaro. Ma il XX secolo è il secolo delle donne e alcune pioniere, coraggiose, belle, mettono le ali. Una di loro è Rosina Ferrario, nata a Milano il 28 luglio 1888 da una famiglia importante, avventurosa e internazionale.
Uno dei suoi avi aveva combattuto durante il Risorgimento e, fuggito in Inghilterra, era diventato lo chef del principe del Galles. Da signorina moderna, Rosina parla le lingue, lavora, è segretaria della concessionaria Cadillac, scala le montagne e guida la macchina. E guidando in un giorno d’autunno del 1909 vede librarsi sopra di lei il biplano di Léon Delagrange, uomo di fascino, scultore oltre che aviatore. Una folgorazione. «Anch’io avrei voluto andare lassù, verso il cielo, rapida e libera e godermi dall’alto la bellezza dello sconfinato orizzonte», scrive Rosina nel suo diario, come racconta Rosellina Piano nella biografia Rosina Ferrario. Signorina aviatrice. Passano solo due anni e la futura aviatrice apprende le prime nozioni di volo nella scuola di pilotaggio di Piazza d’Armi a Baggio, alle porte di Milano. Pochi mesi ed è sul campo di Vizzola Ticino, dove nel 1912 Enrico Cobioni a bordo del Caproni 12 ha conquistato il primato mondiale di velocità. E Cobioni sarà l’istruttore di Rosina.
I primi esercizi sono a terra, rullare e ancora rullare, fino a quando l’aereo di Rosina si alza di pochi metri, cinque, dieci, e in sei mesi raggiunge i trenta metri e oltre. Nelle fotografie appare la figura di una donna nuova, indosso ha un giaccone di pelle, pantaloni, maglione e un casco di cuoio che trattiene una chioma di capelli corti. Il gran giorno arriva il 3 gennaio 1913. I commissari, tutti uomini, sono a bordo campo. Rosina si alza in volo sul suo Caproni con motore Anzani, e per due volte esegue un otto tra due piloni che distano cinquecento metri, quindi riparte per la prova sulla distanza e in meno di quindici minuti percorre sette chilometri a settanta metri di altezza. L’atterraggio è perfetto. Rosina spegne il motore, il cuore no, continua a battere. Promossa. Il numero di tessera della Fedération Aèronautique Internationale e dell’Aero Club d’Italia è il 203 e in doppia lingua, italiano e francese, si certifica che «M.lle Rosina Ferrario, avendo soddisfatto tutte le condizioni imposte dal FAI, ha ricevuto il brevetto di pilota aviatore». Rosina Ferrario è la prima aviatrice italiana e l’ottava nel mondo. A un giornalista che le chiede se si sente sola lassù in mezzo al cielo, come se la solitudine fosse la giusta punizione per le donne che guardano in alto, Rosina risponde: «A me non sembra di essere sola quando mi trovo nell’aria. È l’aria stessa che per me si muta quasi in elemento vitale vivente e con i suoi soffi e i suoi capricci e talvolta anche le sue insidie, mi rammenta che io a lei affido la mia esistenza, che nel suo potere, nel suo mistero sta la gioia del volo».
Ormai Rosina è un personaggio nazionale e nella primavera del 1913, su invito dall’Aeroclub di Napoli, partecipa a un’esibizione. Dalla tribuna, tutti gli occhi sono per lei, Rosina lo sa, e dall’alto getta una pioggia di garofani rossi. Entusiasta, il 20 maggio 1913, Bianca Maria Cammarano scrive su La Donna: «Le gare aviatorie di Napoli ci hanno rivelato che non esiste solo qualche nobile donna in Italia capace di prendere posto in un aeroplano e di accompagnare un uomo nel suo meraviglioso viaggio per il cielo, ma vi è una donna giovane, distintissima, interessantissima che ha guadagnato il suo brevetto da pilota e guida con polso robusto il suo aeroplano. Tutti i voli la fantasia femminile ha compiuto, ma questo gran volo di Rosina Ferrario sembrava impossibile».
A ottobre dello stesso anno, ed è l’anno in cui questa donna straordinaria entra nella vita del Grand Hotel Tremezzo, Rosina arriva a Como, tappa prestigiosa del grande Circuito dei Laghi. Alla gara partecipano a bordo dei loro idrovolanti i più famosi aviatori europei, Roland Garros, Helmuth Hirth, Léon Morane e gli italiani Filippo Cevasco e Achille Landini. E proprio Landini, nel tentativo di battere il record di altezza, è costretto per un’avaria al motore del suo idrovolante a planare sulle acque di Carate Lario. L’aereo verrà trainato al Campo Garibaldi da un motoscafo che passava di lì, ed era il motoscafo del Grand Hotel Tremezzo, inaugurato appena tre anni prima. E Rosina? Rosina non potendo partecipare alla competizione, in quanto donna, batte il suo record personale e vola da Milano a Como, sorvolando in trentacinque minuti la Tremezzina, Bellagio e l’isola Comacina.
Scoppia la guerra e Rosina Ferrario, asso dell’aviazione come ormai tutti la salutano, si offre volontaria della Croce Rossa per il trasporto dei feriti. Ma l’aviazione italiana rifiuta la sua proposta, «perché non è previsto l’arruolamento di signorine nel Regio Esercito». L’aviazione francese invece accetterà la candidatura di Marie Marvingt, aviatrice, scalatrice e giornalista. Delusa, Rosina non vola più. Nel 1921 sposa Enrico Grugnola, conosciuto durante un’escursione alpinistica, e insieme aprono e dirigono l’Hotel Italia a Milano, nell’allora Piazzale Fiume. E anche nel cielo limpido dell’ospitalità, sicuramente Rosina avrà spiccato il “suo” volo.