Quando un Gin Tonic riscrive la vita

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Gli aromi crescono in un bellissimo orto, circondato da alberi che dominano la vallata di Ponte Tresa, vicino a Varese e a un passo dalla Svizzera.

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 L’estensione minima della natura, foglie di basilico, salvia, coriandolo, assenzio, fiorisce accanto alla verticale di faggi, castagni e querce maestosi. Tra questi due estremi è nata qualche anno fa una delle più eleganti avventure della scuola di distilleria italiana, la Cillario&Marazzi, a cui si deve la creazione dei gin “sartoriali” dedicati al Grand Hotel Tremezzo e a Passalacqua. Ma prima di descriverli e assaggiarli, prima che le note di petali di rose e di bergamotto, di pepe e galanga, inizino a viaggiare tra i nostri sensi, Attilio Cillario, che di questo luogo incantato è signore insieme alla moglie Ausilia, racconta la sua storia. E non è un piacevolissimo esercizio di oratoria, visto che Attilio è stato per trent’anni un noto penalista di Milano, ma è una premessa indispensabile per capire le ragioni del successo di questa piccola azienda, gestita tra amici e che oggi sta scrivendo un nuovo capitolo dell’ospitalità italiana a cinque stelle e a tre stelle Michelin. In questi boschi Attilio ha trascorso i weekend dell’infanzia, dell’adolescenza, della prima maturità, già a vent’anni legato ad Ausilia, compagna di studi, e poi i fine settimana e le vacanze sono diventati quelli di una giovane famiglia, figli e altri amici. Ogni volta questo luogo incantato riuniva, accoglieva, rigenerava, fino a suggerire ad Attilio e Ausilia una seconda vita. Una seconda partenza, a cinquant’anni.

“Quando Attilio e Gigi incontrano il bartender del Grand Hotel Tremezzo, hanno già creato la formula del gin sartoriale dei più bei nomi dell’ospitalità italiana. Ma la sfida del Grand Hotel Tremezzo è doppia perché c’è anche Passalacqua. Due indirizzi, due personalità, una sola famiglia.”

Ausilia e Attilio hanno sempre amato cucinare. Un giorno, dopo una partita di caccia in Alsazia, Attilio decide di provare a distillare la “sua” acquavite di mirabelle. Ci riesce ed è pure migliore dell’originale. Il gin non è ancora apparso all’orizzonte, ma è questione di poco. Il caso vuole che Attilio difenda un amico, Gigi Marazzi, di professione ingegnere, in un’assurda lite tra vicini di casa. Attilio vince la causa, declina ogni parcella e in segno di gratitudine Gigi gli regala un alambicco da cento litri. L’alambicco, sovradimensionato per la produzione domestica consentita dalla legge, e Attilio è uomo di legge, finisce in cantina. Ma non l’idea di fare il gin, che viene a Gigi. Due anni di esperimenti, altri amici che si offrono come assaggiatori, altri fine settimana nella casa di famiglia tra i boschi, fino a quando dalla storta dell’alambicco esce un profumo intenso, personale, giusto. Ci siamo. Nel 2016 Attilio e Gigi chiedono la licenza, nel 2017 l’ottengono e nascono le prime cinquanta bottiglie della Cillario&Marazzi. Una di queste, portata da un amico, finisce nelle mani del barman del Trussardi Cafè. Contemporaneamente, Attilio e Gigi partecipano a un Gin Day, il loro stand è piccolo, ma l’idea geniale. Sull’etichetta applicata a una bottiglia hanno scritto: «Qui potrebbe esserci il tuo nome». E il tuo nome vuol dire la tua storia, il tuo carattere, il tuo mondo. Tuo e di nessun altro. Tuo, perché fatto su misura come un abito. Tuo, dunque sartoriale. 

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Quando si inventa un gin, quando si cuce addosso alla personalità di un cliente, si dice che “si apparecchia”. E per apparecchiare un gin, liquore che ha dietro di sé una storia di quattro secoli, nato in Olanda nel 1650 e portato in India dagli inglesi per curare la malaria, bisogna farsi un po’ mago e un po’ alchimista. Nel senso che bisogna trasformare un’emozione in un sapore. Attilio ha una memoria gustativa fuori dal comune e questo gli permette non solo di ritrarre un luogo attraverso le sensazioni olfattive che evoca, ma di riprodurne la formula fedelmente. Basta infatti un grammo in più o in meno di ogni ingrediente, basta una foglia di basilico colta nell’orto in una giornata di sole o di nuvole, e il gusto cambia. Quando Attilio e Gigi incontrano il bar tender del Grand Hotel Tremezzo, hanno già creato la formula del gin sartoriale dei più bei nomi dell’ospitalità italiana. Ma la sfida del Grand Hotel Tremezzo è doppia perché c’è anche Passalacqua. Due indirizzi, due personalità, una sola famiglia. Inizia allora la fase più bella, dice Attilio, la ricerca della sequenza perfetta, che esalti l’unicità di ogni carattere. Come descrivere il fascino del Grand Hotel Tremezzo, palace dal 1910, se non usando il richiamo alla classicità? E così il suo gin, nella bottiglia che riproduce il piacere di un tuffo in piscina, è “classico” ma non severo, è morbido nel perfetto equilibrio di fiori di rosa e bergamotto, ma ribadisce il tono maschile nell’incontro di ginepro, coriandolo, cardamomo, radice di iris, liquerizia e tre varietà di pepe nero provenienti da Lampong, Sichuan e Timut.

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E il gin di Passalacqua? Disinvolto, allegro, femminile come la figura sull’etichetta, con note agrumate più intense rispetto a Tremezzo, più arancia di Ribera che bergamotto, e una tonalità olfattiva di rosa che guida l’assaggio. E l’alambicco di cento litri? Dal ripostiglio questa meravigliosa cisterna di rame è tornata alla luce e oggi regna incontrastata al piano terra di casa Cillario, tra i famosi boschi dove tutto è iniziato. Attilio, che è appena rientrato dall’orto con una selezione delle più tenere foglie di salvia, sta mettendo a punto una nuova “formula”. Il metodo è London Dry, con acqua sorgiva e alcool di grano biologico italiano e kosher, e botaniche poste in cima all’alambicco. Un ultimo tocco di pasta di pane per sigillare le parti, la fiamma si accende e la magia sta per iniziare. Ma a ben guardare la magia più grande è quella che ha sorpreso una coppia e i suoi amici più cari nel mezzo del “cammin di nostra vita”. Inventarsi una seconda esistenza, una seconda carriera, e vivere un secondo successo. Se c’è un brindisi da fare, gin tonic alla mano, è a questa contagiosa e invidiabile “seconda” felicità.